'Il bacino del Metauro', di Raimondo Selli

Raimondo Selli

IL BACINO DEL METAURO
Descrizione geologica - Risorse minerarie - Idrogeologia

Edizione elettronica del volume edito nel 1954

PARTE II
I MINERALI

CAPITOLO I
MINERALI DI FERRO

Nell'alto bacino del Metauro sono noti minerali di ferro da tempo immemorabile; soprattutto ebbero notorietà le cosiddette miniere del M. Nerone che si trovano in realtà nei pressi di Gorgo a Cerbara, presso Piobbico. Dato che lavori di ricerca e di scavo furono condotti anche in quest'ultimi anni e che, per i ritrovamenti fatti da ricercatori locali e per le notizie tratte da vecchi documenti o da perizie spesso molto inesatte e risalenti a parecchi decenni fa, si sono venute creando delle speranze su ipotetici giacimenti, credo utile soffermarmi sulla questione.

A) I minerali di ferro di Gorgo a Cerbara. L'esistenza di concentrazioni di minerali ferriferi era nota già al tempo del Ducato di Urbino e pare che fin da allora ne venisse fatta l'estrazione. Lavori di scavo, oltre i più antichi, furono effettuati a varie riprese tra il 1791 z il 1847 e, dopo una lunga interruzione nel 1941 (67); finalmente lavori di un certo rilievo furono condotti dal 1939 al 1942. Ora le miniere sono in abbandono; però le notizie più o meno vaghe tramandate hanno dato a queste ricerche una certa notorietà. Gli scavi tuttora visibili si trovano sulle balze settentrionali del M. Eremo a WSW di Gorgo a Cerbara, sopra il Candigliano.
Vediamo anzitutto le condizioni geologiche locali, secondo le ricerche, che ho compiuto. La serie stratigrafica si presenta così dall'alto al basso:

  1. Calcare rupestre, spesso di aspetto massiccio (Cretaceo inferiore);
  2. Calcare bruniccio ad Ammoniti e Crinoidi, con pochi metri di spessore e che verso l'alto passa al precedente (Giura superiore);
  3. Calcari lastroidi verdi con selci verdi (20 m circa di spessore) (Giura superiore);
  4. Calcare bianco compatto (20 m circa di spessore) (Giura superiore);
  5. Marne rosse con Ammoniti (5 m circa di spessore) (Lias superiore);
  6. Pietra corniola con sottili interstrati marnosi rossi e verdastri, che costituisce la base visibile della serie locale (30 m circa di spessore affiorante) (Lias medio).

Dal punto di vista tettonico è netta la struttura anticlinale; però mentre i calcari liassici del nucleo della piega sono suborizzontali o pochissimo inclinati e rotti da faglie, i calcari cretacei dei fianchi sono fortemente raddrizzati (fino a 65-70°) e talora contorti. Cioè le masse calcaree giuresi si sono in parte incuneate entro le rocce calcaree e calcareo-marnose cretacee e terziarie più plastiche. I disturbi sono più marcatamente sul fianco SW.
Il minerale utile è costituito da limonite il cui contenuto in ferro raggiungerebbe fino il 60-70%; però esso è spesso accompagnato da diverse impurità (argilla, frammenti di selce, calcare, ecc); si trova, sotto forma di tasche varie per dimensioni e contorno, entro il calcare del livello 5, o alla base del 6 e talora anche del tetto del 4.
I lavori di scavo hanno aperto tre cavità. La più occidentale di queste è la maggiore ed ora in gran parte inaccessibile per i franamenti ed allagamenti; vi si accede mediante un pozzo e si interna per alcune decine di metri. La cavità mediana, ben visibile anche dalla strada Acqualagna-Piobbico, presenta un ampio imbocco ma si arresta dopo pochi metri; da questa fu estratto prevalentemente il materiale durante la fase più recente di lavori. Le pareti dei due scavi nominati, sia per la morfologia sia per i rivestimenti alabastrini, mostrano chiaramente essere naturali e prodotte dal fenomeno carsico. La limonite asportata nei vari periodo di attività della miniera rappresentava quindi semplicemente il materiale di riempimento di antiche cavità naturali ora abbandonate dalle acque circolanti carsiche; tale riempimento era però variamente distribuito e più o meno completo.

Resta da esaminare il terzo scavo (il più orientale dei tre), l'unico che sia interamente artificiale. Si tratta di una trincea profonda qualche metro aperta con gli ultimi lavori. Esso ha messo in evidenza un calcare grigio-verdognolo zeppo di noduletti di pirite, con dimensioni fino a 4-5 cm; abbondante è anche la piritizzazione diffusa e frequenti sono i cubetti di pirite ben conformati; la presenza di minerali di rame è denunciata da rare e lievi spalmature verdi di carbonato.

Quest'ultimo scavo insieme ai fatti osservati negli altri due ci spiega facilmente l'origine del giacimento. Le acque sotterranee circolanti entro le masse calcaree hanno determinato dapprima una serie di cavità carsiche (quelle svuotate dai due primi scavi descritti) a un livello notevolmente più alto (oltre 100 metri) del fondovalle attuale. In seguito per l'approfondimento vallivo operato dal Candigliano avvenne l'abbandono progressivo di queste cavità da parte delle acque sotterranee, che furono costrette per l'abbasso livello di base, ad aprirsi canalizzazioni più profonde. Nel frattempo nelle grotte superiori si aveva il graduale riempimento provocato dalla poca acqua che continuava a scorrere. Quest'ultima attraversando i calcari verdi piritosi provocava l'ossidazione del solfuro e il trasporto e la rideposizione del ferro sotto forma di ossidi idrati (limonite); le impurità varie che accompagnano il minerale comprovano una tale origine. È inoltre interessante notare che il processo ossidativo è tuttora in atto, come dimostrano due sorgentelle, una solfidrica l'altra ferruginosa, che sgorgano presso il letto del Candigliano nelle vicinanze di Gorgo a Cerbara, proprio sotto le miniere descritte (1).

Come si è visto esistono due tipi di concentrazioni di minerali di ferro nella miniera di Gorgo a Cerbara: l'una di pirite l'altra di limonite. L'origine della seconda è chiara essendo la sua concentrazione dovuta a semplice riempimento di cavità sotterranee ad opera di acque circolanti. Meno facile a spiegare è l'origine delle concentrazione di pirite; la grande diffusione di noduli piritosi, vari per dimensioni, entro le più diverse rocce giuresi e cretacee potrebbero far supporre anche nel nostro caso una semplice concentrazione diagenetica; invece le dimensioni e la bella conformazione dei cristalli di pirite nel calcare verde di Gorgo a Cerbara parlerebbero piuttosto a favore di una origine idrotermale.

Questa seconda ipotesi appare anche la più probabile in quanto nelle Marche centrosettentrionali son noti accenni di mineralizzazioni idrotermali. Così da alterazione di concentrazioni di tal tipo potrebbero essere derivate quelle tracce di minerali di rame che vedremo fra poco (pag.80). Ma più interessante è la piccola concentrazione di ossidi di manganese sicuramente idrotermali messi in vista lungo un piano di faglia che porta il massiccio a contatto col calcare rupestre a 1 km a W di Ficano (ora Borgo S. Vicino) in provincia di Ancona.

(1) Questo fatto è interessante: cioè quando si verifica un'ossidazione di pirite si hanno due gruppi di sorgenti distinte, uno ferruginoso, l'altro solfidrico. Il fenomeno anche se diffuso non è certo ben spiegabile.


Qui il minerale compare con uno spessore di m 0,0,5 su qualche decina di metri di lunghezza e viene sfruttato anche attualmente. Tutte queste mineralizzazioni, anche se di valore pratico del tutto trascurabile, dimostrerebbero però che il periodo geologici molto recenti (forse Pliocene) si sono avute nella nostra regione manifestazioni idrotermali a media e bassa temperatura sia pure quanto mai sporadiche e modeste (1).
Da tutto quel che si è esposto risulta evidente che il valore pratico del giacimento di Gorgo a Cerbara è scarsissimo. Le concentrazioni di pirite non hanno importanza pratica essendo troppo basso il contenuto del minerale utile. Per la limonite, già esaurite le due tasche principali, si potrebbe andare alla ricerca di altri analoghi riempimenti di antiche cavità carsiche. Ma troppi fatti sconsigliano una tale impresa: l'eccessivo costo e l'alea notevole, il limitato valore del minerale per le forti impurità, le piccole dimensioni delle tasche limonitiche eventuali, ecc. Se fino a un secolo fa, giacimenti di tal tipo potevano essere redditizi economicamente, oggi non rivestono più alcuna importanza pratica.

B) Altri ritrovamenti di minerali di ferro entro il Mesozoico. Noduli di pirite e limonite sono frequenti entro varie rocce mesozoiche della regione; essi possono raggiungere talora vari chilogrammi di peso e superare in certi casi il decimetro di diametro.
Sono frequenti talora nella pietra corniola (M. Nerone, Foci del Burano, Passo del Furlo, ecc.) e nelle marne verdi del Lias superiore dei dintorni di Piobbico; si tratta però in questi casi per lo più di piccole masserelle con qualche centimetro al massimo di diametro. Più cospicui sono invece i noduli che si ritrovano entro il calcare rupestre. In quest'ultima giacitura sono particolarmente diffusi nel versante NW del M. Nerone e precisamente: al Ranco di Nino, presso la grotta del Nerone (uno strato qui ne è molto ricco), ecc. Noduli analoghi entro il rupestre si trovano nei dintorni di Cantiano, al Castellaccio (lungo la strada per fonte Avellana) e altrove. In via generale so può dire che questi noduli hanno una notevole diffusione nei calcari prealbiani della regione e derivano da concentrazione diagenetica di pirite (o meglio di marcasite), che si è in seguito ossidata a limonite a contatto degli agenti atmosferici.

(1) Credo sia superfluo accennare che queste manifestazioni eruttive non hanno niente a che fare con quelle che originarono le sabbie vulcaniche del Langhiano (pag.28) e del Messiniano (pag. 103): si tratta infatti di fenomeni diversissimi, oltre che per natura, soprattutto per età e luogo di origine.


Naturalmente il valore pratico e industriale di tali ritrovamenti è nullo. Li ho citati solo perché hanno fatto sorgere la diceria dell'esistenza di giacimenti di ferro (in particolare al M. Nerone), tanto che durante l'ultima guerra importanti Aziende hanno addirittura richiesta permessi di ricerca.

C) Ritrovamenti di minerali di ferro entro il Terziario. Entro la formazione marnoso-arenacea umbra del Miocene che si stende ad occidente dei rilievi mesozoici dei monti Nerone, Petrano e Catria si rinvengono non di rado noduletti piritosi più o meno limonitizzati. In Comune di Borgo Pace, frazione Lamoli, fra il Montaccio e Val Rupina si rinvennero in passato frequenti noduli di questo tipo; analoghi ritrovamenti anche presso Macinara. La frequenza di pirite entro questa formazione nei Comuni di Borgo Pace e Apecchio è dimostrata dalle varie sorgentelle solfidriche, che in questi terreni non possono derivare la loro mineralizzazione che da ossidazione di pirite. La migliore riconferma di tale interpretazione sta nella presenza a 100 m a E di Casa Valderica (Com. di Borgo Pace) e presso Pian di Lupino (Com. di Apecchio) di sorgentelle ferruginose accanto ad altre solfidriche, secondo quel caratteristico sdoppiamento delle mineralizzazioni già osservato presso Gorgo a Cerbara.
Anche queste piccolissime concentrazioni hanno la stessa origine di quelle dei calcari mesozoici e nessun valore pratico, anche se DE BOSIS (77) ricordava che "la miniera di Monte Lamoli dava buoni prodotti all'ultimo Duca di Urbino".