'Il bacino del Metauro', di Raimondo Selli

Raimondo Selli

IL BACINO DEL METAURO
Descrizione geologica - Risorse minerarie - Idrogeologia

Edizione elettronica del volume edito nel 1954

PARTE VI
IDROLOGIA SUPERFICIALE E SOTTERRANEA
CAPITOLO I
IDROLOGIA SUPERFICIALE

6. Evoluzione della rete idrografica

Le nostre conoscenze attuali non permettono ancora di risolvere completamente ed esaurientemente questo problema, ci consentono però di stabilire alcuni punti fermi per ulteriori ricerche. Ma prima di trattare l'argomento occorre esaminare brevemente alcune questioni connesse con le fasi erosive anteriori a quella attuale (1).

a) Età e origine delle gole. Solo la storia geologica della regione ci può dar ragione di quelle caratteristiche gole attraverso i massicci mesozoici del bacino del Metauro e degli altri fiumi marchigiani. Si è e già detto che esse debbono essere in buona parte antecedenti (pag. 202), perchè altrimenti non si potrebbe spiegare come ad esempio il Candigliano incida per più di 840 m il Paganuccio-Pietralata, quando un solco di poco superiore ai 200 m, e per di più in rocce facilmente erodibili, gli sarebbe stato sufficiente per aprirsi la strada verso Fermignano. Ma altri fattori convalidano la notevole antichità di queste gole.
Infatti a cavallo dell'Esino a pochissimi chilometri a valle dello sbocco della gola della Rossa, e più precisamente fra Rosora, Poggio S/ Marcello, Monte Roberto e Poggio Cupro, la serie molassica del Pliocene inf. raggiunge un notevole spessore (oltre 250 m), mentre a NW e a SE si riduce rapidamente a poche decine di metri passando lateralmente ad argille.

(1) Della formazione dei corsi d'acqua adriatici già si occuparono molti AA. e in particolare ROVERETO (165), MARINELLI (202) e recentemente GIANNINI e PEDRESCHI (201). Le varie ipotesi proposte però sono basate spesso solo su presupposti teorici, anzichè sulla storia geologica della regione marchigiana.


Questo notevole ispessimento può essere solo in relazione col delta di un paleo-Esino eopliocenico, che percorreva, come l'attuale, la gola della Rossa (allora naturalmente assai meno profonda) e quindi sfociava in mare (1). Del resto si è già detto (pag. 70) che l'incisione dei rilievi mesozoici, forse cominciata fin dal Tortoniano, era già avanzata alla fine del Messiniano. Si può così dire che le gole delle Marche settentrionali si abbozzarono forse fin dal Tortoniano, ad opera dei primi torrenti conseguenti che si instaurarono sui fianchi dei rilievi mesozoici emergenti dal mare; inoltre già nel Pliocene inferiore erano ben delineate almeno quelle che incidono oggi i rilievi mesozoici esterni della catena (217) (2).
Resta a vedere quali elementi possono avere determinato la posizione delle gole. Per alcune hanno avuto importanza le ondulazioni assiali delle acque presso le terminazioni delle pieghe e il successivo imprigionamento dei corsi nelle rocce più resistenti sottostanti (Biscuvio al Nerone, Metauro a Fossombrone), per altri ancora faglie o Blatter trasversali (Esino alla Rossa). Per molte gole però solo più accurate ricerche potranno stabilire i fattori predeterminanti, che nella maggioranza dei casi sono essenzialmente tettonici.
b) Catture fluviali. È molto probabile che la porzione di bacino monte del rilievo Nerone-Catria e a SE del Biscuvio sia stata catturata al versante umbro dal Burano-Bosso. Si può infatti supporre che tutta questa parte di bacino avesse, durante il Quaternario antico il suo deflusso naturale nel lago pleistocenico di Gualdo Tadino mediante corsi d'acqua ad orientamento

(1) Anche tutte le altre osservazioni geologiche nella regione, che qui credo inutile richiamare (v. Parte I), confermano questa interpretazione.
(2) Chiarisco meglio il mio concetto. Nel Tortoniano, come ho detto, cominciarono ad emergere dal mare i rilievi mesozoici della catena marchigiana (pag. 70). Sui fianchi di essi si instaurarono i primi brevi torrenti conseguenti sfocianti parte direttamente nell'Adriatico (che allora occupava anche tutta l'avanfossa marchigiana), parte nei bacini mediani della catena, parte nella fossa umbra. Alla fine del Miocene, essendo emersa la catena marchigiana e la fossa umbra, si formarono le prime modeste gole attraverso i rilievi mesozoici esterni della catena, utilizzando alcuni tronchi dei primi torrenti conseguenti. Il grande approfondimento di queste avvenne solo in seguito per il prevalere dell'attività erosiva sul progressivo e cospicuo sollevamento della catena. In altri termini le gole marchigiane furono predeterminate dai brevi corsi d'acqua conseguenti durante il Tortoniano-Messiniano, sono però antecedenti rispetto alla morfologia determinatesi in seguito alle fasi di maggior sollevamento della catena. Per ulteriori chiarimenti v. pag. 208 e Tav. IV.



NW- SE che furono poi progressivamente decapitati da Sentino, Burano e Bosso (1). A motivo e sostegno di una tale interpretazione si possono portare vari argomenti.
È anzitutto notevole che fra le testate del Biscuvio e del Sentino lo spartiacque attuale fra i bacini adriatici e tirrenici non segue la linea di maggiori culminazioni orografiche, che passa invece 10-12 km a NE lungo il rilievo Nerone-Catria. A NW invece di Bocca Serriola (testata del Biscuvio) e a SE di Scheggia asse orografico e displuviale coincidono. Cioè Bosso, Burano e Sentino attraversano poggi massicci più elevati (Nerone-Catria, superiori ai 1000 m) dello spartiacque da cui prendono origine, che si mantiene sugli

(1) Già PRINCIPI (136 pag. 51) aveva accennato genericamente alla possibilità di catture da parte di questi fiumi.


800 m. Si può quindi supporre che nel Quaternario antico lo spartiacque fra Tirreno e Adriatico passasse per il Nerone-Catria.
D'altra parte l'attuale displuviale fra Metauro e Tevere durante il Pliocene, pur delimitando altri bacini, so continuava forse verso S fin presso Branca (fra Gubbio e Fossato di Vico). Importante è poi notare che fra Biscuvio e Sentino a monte del Nerone-Catria i sub-affluenti hanno un prevalente orientamento NW-SE e confluiscono con un brusco gomito ad angolo retto nei collettori principali (Fosso Molinaccio, alto corso del Certano, Fiumicello, alto corso del Burano e del Balbano, ecc.). Gli stessi andamenti idrografici si ritrovano più a S nell'alto bacino del Chiascio.
Si può così concludere che la porzione del bacino del Metauro a monte del rilievo Nerone-Catria durante il Quaternario antico scaricava le sue acque, forse attraverso il passo di Scheggia, nell'alto Chiascio e di qui attraverso il lago (poi colmato) di Gualdo Tadino nel fiume Topino (1). Per non dilungarmi tralascio alcune piccole catture osservabili ai margini del bacino del Metauro (N di Borgo Pace, dintorni di Frontone) o entro il bacino stesso fra i minori affluenti.

c) Terrazzi fluviali. L'esistenza di accurati ed esaurienti lavori (100, 189) sui terrazzi fluviali delle Marche mi esime da una dettagliata descrizione. Qui dirò solo che nel Metauro (e in tutte le vallate marchigiane) sono riconoscibili quattro ordini di terrazzi, le cui superfici segnano le ultime quattro stasi più importanti dell'approfondimento vallivo. Il I° e più antico livello ha sul fondovalle attuale le seguenti altezze: 110 m (presso Peglio di Urbania), 150 m (presso Fermignano), 110 m (presso Ponte degli Alberi), 140 m (più a valle), 60 m (presso Fano); il II livello 80 m (presso Mercatello), 110 m (presso Fermignano), 50 m (Ponte Murello); Il III livello da monte di Mercatello dove si eleva di 30 metri sul fondo valle si abbassa a circa 10 m presso la foce del Metauro; il IV infine accompagna a un'altezza di circa 5 m il letto attuale. I primi due terrazzi mostrano così interessanti divergenze rispetto al fondo valle. Nei principali affluenti solo i due ultimi livelli sono praticamente riconoscibili. Già ho brevemente accennato (pag. 203) alle alluvioni che costituiscono questi ripiani.

(1) Per la ricostruzione della rete idrografica quaternaria del bacino del Tevere vedi MERLA (115).


Le nuove conoscenze sul Quaternario marino in generale (216) e su quello marchigiano in particolare (220) obbligano a rivedere la datazione di questi terrazzi basata da LIPPARINI (100) e VILLA (189) essenzialmente sulle oscillazioni eustatiche quaternarie. Secondo questi AA. infatti il riempimento alluvionale corrispondente alla superficie del I livello sarebbe riferibile all'interglaciale Gunz-Mindel, di cui l'Emiliano sarebbe l'equivalente marino. Ma la linea di riva emiliana è oggi nota fra le foci del Musone e del Tenna a circa 150 m s.m., mentre i terrazzi del I livello presso la costa Marchigiana dalla foce del Metauro a quella dell'Aso si trovano in media sui 50-60 m. Inoltre resti di spianamenti e depositi alluvionali sicuramente quaternari si osservano a quote maggiori del I terrazzo; così ad es., tanto per limitarci alla zona più esterna, a S. Costanzo abbiamo alluvioni a 150 m s.m. e a Ferretto a 160 m. Bisogna perciò ammettere per i terrazzi marchigiani un'età più recente di quella finora supposta. Non conosciamo ancora i movimenti di sollevamento del tardo Quaternario nella regione, i quali sarebbero indispensabili per una nuova datazione. Si può però supporre per il primo riempimento alluvionale (I livello) un'età non più antica dell'interglaciale Mindel-Riss (Milazziano); le incisioni e i riempimenti successivi saranno evidentemente ancor più recenti (1). Del resto la scarsa alterazione delle alluvioni del I livello e la freschezza di quelle sottostanti ne sono una prova indiretta.

A questo punto possiamo brevemente schematizzare l'evoluzione della rete idrografica metaurense, nelle sue varie fasi.
Prima fase. I primi torrenti conseguenti si instaurano durante Tortoniano medio-sup. sui fianchi dei rilievi mesozoici interni, emergenti in isole piatte ed

(1) I vari momenti di sollevamento delle catene sono stati i determinatori essenziali del terrazzamento fluviale vallivo del Quaternario; le oscillazioni eustatiche del livello marino, di indubbia importanza, anche se recenti ricerche e concetti ne diminuiscono il valore, non possono che aver modificato l'effetto dei primi. Se il sollevamento è stato continuo e regolare le oscillazioni eustatiche positive possono aver determinato stasi nell'approfondimento vallivo, e quindi alluvionamento, e quelle negative incisioni più rapide, e quindi ripe dei terrazzi; se il sollevamento ha subito soste o addirittura inversioni l'effetto eustatico può essere completamente annullato. Credo sia fuori luogo scendere qui a dettagli sull'interessante argomento. Noterò solo, a conferma di questa affermazione e della datazione supposta più sopra per i terrazzi marchigiani, che nel Bolognese e (come mi informa l'amico Ruggieri anche in Romagna la più elevata superficie di spianamento delle ultime colline pedemontane si è profilata sulla linea di riva della massima espansione marina del Milazziano (interglaciale Mindel-Riss); o quattro ordini di terrazzi sottostanti sono quindi evidentemente più recenti e potrebbero (anche se ne mancano per ora le prove) trovare coincidenze con le varie espansioni che oggi vengono distinte nei due ultimi glaciali (Riss I, Riss II, Wurm I, Wurm II, Wurm III). È sempre quindi la storia plicativa della regione che sola (a meno che non soccorrano le industrie umane) ci permette di interpretare e datare i terrazzi fluviali; invece la rigida e costante corrispondenza, spesso supposta, in zone non glacializzate, fra i terrazzi fluviali e i quattro grandi glaciali non ha basi sicure e concrete.


allungate, e sulla formazione marnoso-arenacea umbra; i primi, brevi, avevano orientamento SW-NE, i secondi, assai più sviluppati, prevalentemente NW-SE.
Seconda fase. Il progressivo innalzamento subito dalla catena durante il Messiniano permise l'approfondimento dei solchi preesistenti e l'insediamento di nuovi corsi d'acqua NW-SE entro le sinclinali interne fra i massicci mesozoici, le quali venivano gradualmente emergendo. Questi nuovi torrenti furono però rapidamente catturati (secondo lo schema visto più sopra) dai corsi d'acqua del fianco esterno del rilievo Furlo-S. Vicino, i quali sboccando direttamente a mare avevano un'attività erosiva più forte. Si avevano così fin dal Pliocene inf., fra i massicci mesozoici interni, vari piccoli bacini, le cui acque sfociavano, nel mare eopliocenico attraverso gole incise nel rilievo Furlo-S. Vicino; i corsi d'acqua assolcanti la formazione marnoso-arenacea umbra avevano sempre il loro deflusso principale verso SE nei bacini marini tosco-laziali; la porzione NW del Montiego e il Nerone-Catria segnavano lo spartiacque.
Terza fase. Il diastrofismo eo-mesopliocenico provocò un ringiovanimento della rete idrografica e la formazione di nuovi torrenti sulle strutture esterne che venivano emergendo (Bargni, Cuccurano, S. Costanzo). È però solo durante il Pliocene medio r sup. che il bacino del Metauro aumenta notevolmente la sua estensione per il regredire del mare. Si instaura infatti il bassi Metauro che raccoglie i bacini prima indipendenti dell'alto Metauro, del Candigliano e del Tarugo e poi via via accoglie il deflusso dei minori affluenti fra Fossombrone e il mare attuale. La displuviale resta però ancora, a NW, in una posizione imprecisata nella formazione marnoso-arenacea e, più a S, sul Nerone-Catria.
Quarta fase. I ripetuti e cospicui sollevamenti del Quaternario determinarono un notevole e ripetuto ringiovanimento della rete idrografica. Nel Quaternario antico abbiamo la cattura della porzione di bacino A SW del Nerone-Catria, definitivamente inciso da nuove e profonde gole; nel Quaternario recente infine gli ultimi terrazzamenti ancora ben conservati.
Il bacino del Metauro ha quindi nei suoi rami principali una notevole antichità, ma complesse sono state le vicissitudini che lo hanno portato alle condizioni attuali.
Naturalmente da questo schema restano fuori ancora molti particolari, che ricerche ulteriori nel nostro e nei bacini contigui potranno meglio chiarire.